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Immagine del redattoreAndres Rivera Garcia

La struttura in psicoanalisi


Il concetto di struttura è un concetto fondamentale per la diagnosi nel campo della psicoanalisi. Ho notato che circolano equivoci e incomprensioni su questa tematica e con questo breve articolo spero di poter fare maggiore chiarezza. Cos’è la struttura? E poi, struttura di che cosa? Quando parliamo di struttura parliamo sicuramente della struttura dell’inconscio e precisamente del modo in cui soggettivamente esso si pone nei confronti del desiderio e quindi nei confronti dell’Altro. Quindi ognuno ha una struttura unica e irripetibile? No. Ogni soggetto ha un modo certamente singolare di declinare la propria struttura che comunque rimane immutabile.

Ho detto che la struttura è un concetto estremamente collegato al campo diagnostico per lo psicoanalista. Quali tipi di strutture ci sono? Prendendo l’insegnamento di Freud e Lacan evidenziamo le seguenti:


-         Nevrosi (ossessiva, isterica e d’angoscia)

-         Psicosi (paranoica, schizofrenica e melanconica)

-         Perversione


Potremmo aggiungere anche la struttura Borderline sebbene ci sia ancora molta divisione tra gli studi psicoanalitici sull’argomento. C’è chi pensa sia una nuova struttura, una inedita risposta contemporanea al discorso sociale. C’è chi pensa appartenga alla struttura psicotica. C’è addirittura chi pensa possa essere un dialetto dell’isteria portato ai suoi estremi. Quel che interessa al clinico, attraverso i colloqui preliminari, è reperire quanti più elementi possibili per poter capire il tipo di struttura del suo analizzante. A quel punto e solo a quel punto diviene possibile intraprendere una direzione di cura.


Ogni struttura – ed ogni sua declinazione – ha un modo particolare di rapportarsi al desiderio e all’Altro. Ogni soggetto rende ancor più particolare questa modalità e da qui si capisce bene l’unicità soggettiva. Non ci sono e non ci saranno mai due soggetti che intrattengono lo stesso rapporto con il proprio desiderio e con l’Altro. Di questo il clinico deve tener conto. Non basta quindi reperire la struttura del soggetto ma occorre capire in che modo quel determinato soggetto la vive. Parliamo molto più semplicemente per capire meglio il discorso: immaginiamo che le tre strutture siano tre alberi diversi e le declinazioni siano radici. Non ci basta sapere il tipo di albero o come le radici affondano nel terreno ma occorre anche sapere come questi alberi sono abbelliti, che frutti producono, se ospitano nidi, se hanno la corteccia scheggiata, se è ben esposto alla luce del sole e via discorrendo.


Veniamo poi ad un secondo punto del discorso su cui occorre fare chiarezza. I sintomi. Queste strutture non sono affatto sintomi e i sintomi non sono strutture. Nemmeno la psicosi è possibile pensarla, se ci appoggiamo a questo ragionamento, ad un sintomo o ad una malattia. Esse sono tre modalità con cui l’inconscio del soggetto decide (Lacan parla dell’insondabile decisione dell’essere) come abitare questo mondo, come rapportarsi nei confronti della vita. I sintomi, invece, sono fenomeni. Non dicono assolutamente nulla della struttura del soggetto e soprattutto sono assolutamente inseribili all’interno delle strutture. Un soggetto nevrotico può soffrire di attacchi di panico, ad esempio, allo stesso modo di un soggetto psicotico. L’anoressia può essere un’anoressia psicotica o isterica. Il fenomeno dunque non ha alcun valore diagnostico (salvo casi eccezionali come il sentire le voci) ma lo ottiene dal momento in cui viene messo in dialettica, viene inserito in un discorso, comincia ad essere parlato dal soggetto che lo relaziona alla sua vita.


Da questo punto di vista è chiaro che il lessico psicoanalitico si discosta enormemente da quello psicopatologico classico o dal gergo psichiatrico e si può ben immaginare come risulti incomprensibile in un contesto multidisciplinare che fa della diagnosi fenomenologica il massimo traguardo per la comprensione soggettiva. Questa pratica diagnostica, di convesso, sebbene coi suoi limiti e le sue criticità, consente ancora oggi di valorizzare l’unicità individuale e di non sporcare il percorso dell’analizzante con inutili cliché o etichette che allontanano enormemente il soggetto dalla sua singolarità.

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