Le verità psicologiche dietro Joker

Le verità psicologiche dietro Joker

Quando si dice che il sintomo rivela qualcosa di estremamente soggettivo, qualcosa che è nel discorso della vita di chi ne soffre, non sono parole vuote. Si dice che ogni sintomo sia un potente alleato a certe condizioni.

Prendiamo ad esempio la vita di Arthur Fleck alias ”Joker” nell’ultimo film del 2019.

Lui ha un sintomo abbastanza evidente: una risata che esplode senza preavviso, nei momenti meno opportuni e che gli provoca un evidente sofferenza fisica per lo sforzo.

Arthur però non è solo Arthur ma anche ”Happy” (felice) – così lo chiama la madre-.

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Solo alla fine del film veniamo a sapere un dettaglio fondamentale.

Nonostante nell’infanzia fosse stato maltrattato, lasciato in uno stato di abbandono, emarginato dalla madre e dal suo compagno, Arthur detto Happy, non piangeva mai.

Citando le parole della madre – ”era sempre felice, per questo lo chiamo Happy”.

Ecco che allora la sua risata, il suo sintomo, assume una forma decisamente diversa, si inscrive perfettamente nella sua storia e porta la traccia di un trauma che nell’infanzia ha segnato in modo permanente la sua esistenza.

Essere Happy, ridere, è il sintomo che trascurato lo porterà a diventare il clown che getterà la città nel caos completo.

Ogni sintomo è un potente alleato poiché riesce ad indirizzare fin da subito la direzione della cura. Ma ciò nella misura in cui si riesce a dargli lo spazio di parola che merita. Spazio di parola che ad Arthur detto Happy, oramai divenuto Joker, è mancato.

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Il potere della parola, l'unicità della storia di ognuno e il valore del proprio desiderio sono le stelle polari per percorrere la propria vita ripartendo da un nuovo punto. Per rimanere aggiornato sui miei ultimi post e per trovare contenuti utili seguimi su Facebook ed Instagram